La fine dell’estate (musical post)

Questa estate ha rafforzato il mio essere definito attraverso i miei figli e il mio lavoro. I figli che proiettano intorno a loro l’immagine  di solida felicita’ affettiva, i figli cosi’  fisici nel loro  manifestarsi e ancora cosi’ fragili nel dire al mondo che ci sono. I figli che sono la tua meraviglia e  che ti lasciano vuoto dentro, i figli che prendono perche’ e’ giusto che sia cosi’.

(tra l’altro la ragazza in oggetto scrive da cane, ma resta un mito del mio piccolo immaginario)

Il lavoro, che comunque rimane la definizione del buono e del cattivo intorno a te, il lavoro che a ben guardarlo e’ la migliore notizia dell’anno (felicita’ e successo dei figli esclusi). Il lavoro che  anche se nuovo e interessante resta  comunque viziato dall’essere il patto con il diavolo della felice sussistenza altrui. Il lavoro che per quanto come a volte succede tu lo possa amare resta  sempre, alla radice, un rapporto tra valore prodotto e compenso. Ed e’ sempre cosi’, a meno di non potersi permettere di non avere il compenso. Allora si, diventa perfetto e  esternazione del nostro io migliore,  realizzazione di progetti personali e un monte di bellissime cose.  Altrimenti, ci si naviga attorno e si sta attenti agli scogli.

 

E il terzo pilastro previdenziale per il benestare del tuo intero essere,  l’amore, il sostegno, il guardarsi negli occhi e sorridere, resta incastrato da mesi, da anni nei ferri sempre piu’ arrugginiti di frasi feroci e di silenzi anche peggiori. Forse ci vorrebbe un’antitetanica, alla fine dell’estate.

 

E’ venuto fuori un piccolo  post piuttosto malinconico. Allora come premio per essere arrivati fino a qui, un poco di energia….

Silent Disco

A Sestri Levante, sotto il balcone della casa dove sono in affitto, ci sono seimila persone, e sono le tre di notte. La stessa spiaggia della foto qui sopra.

Seimila sono tante, sono piu’, per capirci, della media dei manifestanti in piazza Sintagma  ad Atene nei giorni caldi del dentro-fuori l’Europa (e non sappiamo ancora come e’ finita).

Loro non manifestano, loro cercano di ballare con delle cuffie colorate in testa. Si chiama Silent Disco, perche’ la musica si sente solo attraverso le cuffie. ma seimila che canticchiano sottovoce quello che sentono in cuffia  fanno  comunque  un discreto casino. E non basta, ci sono tre dj e tre canali e tre colori dell cuffie. Cosi’, dal mio secondo piano affacciato sulla spiaggia gremita all’inverosimile, puoi capire in ogni momento chi ha piu’ successo, se il rosso o il verde o il blu. E la cacofonia aumenta.

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Questi seimila sono per  la maggior parte quello che  ti aspetteresti, diciottenni tranquilli che cercano fidanzamenti (come tutti, anche quando non sappiamo di cercarli), carezze, carezze. Carezze di ragazzi o carezze dell’alcool e dello sfinimento, o carezze del vento caldo di questa nottata.

Ma ci sono le eccezioni. Al piano di sotto, come in un piccolo prive’ al riparo dalla sabbia,  ci sono venti adulti, almeno 5 strappone che improvvisano una specie di pool dance. Due mastodonti tatuati che forse sono commercialisti ma vogliono sembrare guardie giurate, o culturisti. Sette o otto signori over cinquanta che visti dall’alto devono pesare cento chili per uno e che improvvisano passi di salsa.

Insomma come diceva  mia nonna un bisa bosa.

Ma sul piu’ bello arriva il fattore unificante che ci fa diventare nazione. Vasco. Quando il DJ verde la mette su, la spiaggia diventa verde e il coro sembra un inno. E, strappone e me a parte, gli altri non erano praticamente ancora nati.

E se mi chiedeste dove erano le mie cuffie, avreste ragione. Basta piagnistei, la silent disco e’ il nuovo che avanza. E lo e’ davvero; quattro anni fa erano un centinaio di persone, clandestine, in un angolo della spiaggia, faceva  venire voglia di unirsi. Ora e’ un’impresa vera, con stand da fiera, 6000 per quindici euro e chissa’ cos’altro. Se crescesse tutto il resto cosi’ in fretta il partito degli ottimisti avrebbe ragione…