Quarantotto

Quarantotto e’ l’indice di diseguaglianza salariale tra uomini e donne in Italia.

A parita’ di tipo di lavoro.   Siamo centoventinovesimi su centotrentasei paesi.  Peggiorati, se possibile,  rispetto all’anno scorso. E non e’ l’educazione che manca, perche’ siamo il paese con piu’ donne all’universita’ rispetto agli uomini.

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Facciamo passi indietro.  Ma le donne ministro aumentano, e sicuramente anche le donne presidenti di aziende dove il presidente e’ nominato dal governo.

Forse, forse, forse, e’ il caso di fare cambiamenti veri (che so, asili, servizi, congedo di paternita’ obbligatorio…)  e di smettere di illuderci che basti  mettere donne al vertice (e c’e’ da discutere quanto “quei” vertici decidano) perche’ le cose cambino per osmosi culturale….. Le mie figlie e i miei figli non possono aspettare il  duemilacento…..

Fai clic per accedere a GGGR_CompleteReport_2014.pdf

http://reports.weforum.org/global-gender-gap-report-2014/economies/#economy=IT

l’IT e’ morto?

Ero ad un evento di una nota societa’ di software. La migliore, tra l’altro.

Una presentazione  diceva piu’ o meno “oggi collaboriamo scambiandoci allegati alle email, la nuova frontiera  sara’ collaborare su una singola copia di un documento”.

Un’altra, sempre piu’ o meno, affermava stupita che ” la forza lavoro e’ sempre piu’ mobile e ci vogliono tecnologie che aiutino ad accomodare questa transizione”.

Io, seduto a fare lo spettatore, dicevo al mio vicino che  queste cose ce le dicevamo gia’ quindici anni fa. E gli strumenti c’erano gia’, quindici anni fa.

E questi strumenti ora sono alla versione 15 e  funzionano benissimo, solo che forse non li vogliamo usare perche’ non si adattano davvero al nostro modo di essere. La comunicazione, il lavorare in gruppo, e’ attivita’ molto piu’ verbale che scritta, quando si scrive si e’ da soli o in gruppo  davanti al proprio documento. E il problema nell’ essere connessi con il nostro mondo lavorativo non e’ di avere nuove versioni di Skype (chi le ha viste, comunque….), e’ la copertura 3G e la qualita’ del WiFi nei bar (da Milano a Londra a Mosca).

Pensavo che tutta la nostra industria  non ha portato nulla di nuovo nella nostra vita da cosi’ tanti anni. L’innovazione e’ finita e stiamo facendo dei giri intorno al palo del profitto?

Pasolini

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Se vi capita, andatelo a vedere a  teatro. Si chiama “Una giovinezza enormemente giovane” e parla di Pasolini.

Fa parlare Pasolini, per meglio dire.

Parla di come avesse visto giusto nei fatti d’Italia, di come la guerra per l’energia fosse dietro alle lotte e alle logiche politiche di allora, parla della piccolo borghesia pronta a votare l’uomo nuovo (prima, allora e apparentemente sempre) parla della diffidenza per la diversita’.

Parla della memoria, e ascoltare Herlitzka  cantare ia poesia sui morti di Piazza Fontana varrebbe da solo lo spettacolo .

Dura solo un’ora,  un’ora in cui si vede il peso del recente  passato di questo paese accumularsi sulle spalle di questo attore, anziano, fragile e fortissimo insieme.

Pensando a una canzone, mi e’ venuta questa in mente. E’ del 1974, un anno prima che Pasolini fosse ammazzato.

http://wn.com/la_nave_dei_folli

E mi ricorda un concerto in cui eravamo forse in 20, sulle colline di Altare, con Della mea che ci spiegava di Cengio, dell’Acna e della Givaudan. Tutti inpuniti.

Morissey e Sandie

Qui c’e’ una versione trentasettenne di Sandie Shaw che canta cose meravigliose come

So stay on my arm, you little charmer

e cose terrificanti

Yes, I know my luck too well
And I’ll probably never see you again

con lo stesso meraviglioso sorriso.

E’ una canzone autoassolutoria, forse  avevo voglia di sentirla e condividerla per questo, questa sera. Forse  a volte abbiamo bisogno di dirci che non e’ colpa nostra, che noi eravamo pronti a tutto come Morissey  ma che  quello che e’ successo e’ successo per qualcosa che non e’ dipesa da noi. Anche se sappiamo che non e’ vero.

Che quella cosa, qualunque essa fosse stata  e ce ne portiamo dentro tutti tante, avremmo dovuto vederla, anticiparla, placcarla e metterla giu’. E’ sempre colpa nostra quando  perdiamo qualcosa che volevamo.

Sarebbe bello conoscerla, Sandie Shaw.

Tagliare

In questo mesi sto faticosamente imparando a guardare avanti, almeno dove e’ possibile. A tagliare, sia quando e’ meglio per me che quando e’ peggio per me. Sia quando lo decido io che quando non lo decido ma lo decide qualcun altro o qualcun altra, e il taglio e’ solo l’abbreviare una agonia. E’ difficilissimo, ti fa anche sentire meglio per un breve momento ma poi lo paghi nella pancia e negli occhi. Lo paghi nei pensieri quotidiani, nei mille scenari possibili e nelle mille cose che non saranno perche’ lo hai deciso tu. Tu speri che l’aritmetica del dolore ti sia favorevole, ma non ne sei davvero certo. Ma l’aritmetica della dignita’ ti da comunque ragione, e alla fine maledici il caso in cui tagliare e’ impossibile.

La riflessione e’ un po’ contorta e troppo recente per essere stirata liscia e resa comprensibile, ma si puo’ spiegare con due canzoni, una dopo l’altra….

Da Penzo

Ci sono (insieme a tante altre) due cose che sono sempre state nel mio cuore. La vela, con sogni adoloscenziali che potesse diventare la mia vita, e Venezia, con sogni post-adolescenziali che potesse diventare la mia casa.

Metterle insieme per un fine settimana era una ricetta semplice e di sicuro risultato. E infatti e’ stata una continua gioia, un rifornimento di bellezza.
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Ma in due giorni ti accorgi di tante cose, per esempio passando attraverso le bocche di porto ti accorgi che il Mose non e’ quella cosa gia’ quasi pronta che ti sembrava avere capito dai giornali ma non c’e’ proprio, ci sono solo lunghe banchine di cemento costate miliardi. E ti sembra impossibile che se ne sia parlato solo per dieci giorni, e oggi nessuno ricordi piu’ chi sta in galera e chi no. Anche perche’ abbiamo pessima memoria, abbiamo bisogno di qualcuno che queste cose ce le ricordi.

Sempre per esempio, sul vaporetto per la Giudecca ti accorgi di quelle navi della costa crociere al porto passeggeri, ma non ti fanno tanta impressione. Poi, per caso, esci da una casa in una calle stretta, vai verso la riva e oltre la volta tutto e’ occupato da una immensa massa di ferro che si muove. E continua a passare, tu arrivi sotto la volta e sta ancora passando, sbuchi sulla riva e la vedi per intero, e’ alta tre volte i palazzi intorno. E’ come un uomo che schiaccia una formica, e la formica e’ Venezia. Come sia possibile che tutti noi permettiamo questo io non riesco a capirlo, non c’e’ somma di denaro che lo possa giustificare. E le vogliono fare arrivare  piu’ grandi…

Ma le vele al terzo…  WP_20141005_017

…e le sere a Chioggia  WP_20141004_024

ti fanno passare anche questo.

Forse e’ solo questo,  a Venezia si e’ cosi’ felici da pensare di essere onnipotenti e di potere ignorare il disastro incombente . Affrettiamoci.

Lavoro

Ognuno dice la sua, la dico anche io.  Perche’ lo faccia, lo si puo’ sentire qui.

Il TFR in busta paga e’ un tipico caso di conflitto tra liberta’ individuale e stato paternalista.

Il TFR e’ mio, tecnicamente dovrei poterlo usare come voglio. MA il nostro stato democristiano aveva stabilito che era meglio aiutarci a risparmiare e a comprare, a 60 anni, una piccola casa per noi o per i nostri figli.  Poi visto che si’ la casa era importante ma riuscire a  campare della pensione anche, sempre lo stesso stato post-democristiano  ha stabilito di aiutarci ad aiutare l’INPS e  ci ha fatto mettere un poco di TFR, di default, nella previdenza integrativa.

Ora vogliamo prenderci questa liberta’ di scelta che non abbiamo mai avuto. Ne siamo sicuri? Io no, non sono sicuro che darci la liberta’ di essere cicale sia una scelta giusta. Ma so di esssere minoranza, e so che molti ne hanno bisogno adesso, e non tra trent’anni. Allora perche’ non mediare con un nudge…. lasciamo che sia una scelta, e lasciamo che la scelta di default sia quella della formica. La scelta di default ha una potenza inaspettata, l’80 per cento formicheranno…. e questo lascera’ anche campare i padroni (compagni imprenditori) che quei soldi da darci comunque non ce li hanno.

Tra l’altro, se si vogliono fare le cose per benino, perche’ non spiegare alle banche che per ogni TFR che opta per la busta paga  e esce dalle casse aziendali DEVONO prestare l’equivalente all’azienda a condizioni analoghe? Cosi’, di nuovo, diamo un poco di pena ad ognuno che se non non se ne esce.

L’articolo 18 ok e’ ovviamente un simbolo e tutti sanno che non e’ li’ il problema. La Germania modello e la Francia altera hanno leggi che rendono il licenziare  qualcuno molto piu’ difficile (e costoso)  che in Italia, nella realta’ delle cose ed escludendo le code statistiche (reintegri forzati etc) che fanno notizia ma sono trascurabili quantitativamente.

Comunque, simbolo per simbolo, sembra di sentire e capire  che quello che il compagno imprenditore vuole e’ la certezza del costo. Diamola.  2 mesi di buona uscita per ogni anno lavorato . Tutela crescente, certa, e non un’elemosina.

I contratti precari resteranno piu’ convenienti? Certo, ma un contratto a tempo indeterminate senza tutela non e’ che un contratto a tempo determinato interrompibile in ogni momento, quindi se si vogliono rendere i contratti indeterminati piu’ convenienti si deve mettere mano ai costi, e spostare gli oneri sociali verso i contratti precari….

E poi, per evitare sorprese e per chiudere il cerchio delle tutele, puniamo seriamente non i licenziamenti per discriminazione ma le discriminazioni stesse.

Cosi’ potremo dire di averlo abolito, di essere riformisti rivoluzionari e lo racconteremo ai nostri nipotini (sbrighiamoci!).

ps: oggi l’indennizzo e’ nella maggior parte dei casi lasciato a una contrattazione individuale (a meno di ristrutturazioni aziendali). E quindi dipende dalle rispettive abilità negoziali, del dipendente, del capo del personale. Renderlo “certo” sanerebbe anche questa discriminazione di fatto.