Il rapporto tra genitori e scuola e’ davvero una delle cose maggiormente cambiate tra la mia generazione e quella dei miei figli (tecnicamente dovrebbe essere una ma nel mio caso forse sono due, o almeno una virgola cinque).
Si e’ passati da una delega totale, e una totale responsabilizzazione, a una continua intromissione e una corresponsabilizzazione. Se i nostri figli vanno male a scuola, oggi, e’ un problema (e uno stigma) anche dei genitori che quindi fanno di tutto perche’ non succeda; dal portare a scuola il libro dimenticato all’attaccare pubblicamente i professori per screditarli.
E le scuole reagiscono cercando piu’ inclusivita’, moltiplicando i momenti in cui si “e’ insieme ai genitori”, insomma cercano di assorbire l’urto senza combatterlo, in nome, immagino, della competitivita’ del mercato e paventando future chiusure per mancanza di allievi. Insomma, la perfetta spirale viziosa. Viva l’Arkanas che ha preso una posizione forte.
Alle selezioni per la Scuola Paolo Grassi si sono presentati in 600. Per 15 posti. Piu’ degli iscritti a Matematica nelle due universita’ di Milano; piu’ degli iscritti a Fisica.
E ci sono tante altre scuole di Teatro, dove andranno poi anche i 585 che non entreranno alla Paolo Grassi.
E’ chiaramente tutto sbagliato, ma io, da matematico, trovo emozionante pensare che in cosi’ tanti vogliano seguire la loro passione.
“Una pillola ti rende piccolo, l’altra ti rende grande. E quella che ti ha dato la mamma non ti fa proprio nulla”. Basta scegliere, dice Alice.
Una delle aziende dove ho lavorato si trasferira’ di sede. Diciamo che va in centro. E nel farlo, chiude l’asilo nido interno. In centro non c’e’ spazio.
Quell’asilo l’avevo fortissimamente volute io tanti anni fa, mi fa cosi’ tanta tristezza vederlo chiudere. L’idea, non il luogo fisico. L’idea che “tanto lo usavano in pochi”, che non serve ai piu’ giovani, che le risorse vano distribuite a pioggia.
Sono quei piccoli segni che ti spiegano perche’ nulla cambia, anche se tutti continuiamo a parlare del cambiamento. Chiacchiere e distintivo, di nuovo.
Direi che e’ un tema irresistibile, sono riusciti a farsi ridere in faccia da Casa Pound a Saviano in meno di dodici ore. Complimenti.
Del resto cosa ci si puo’ aspettare da chi ha una storia del genere e viene messo ad affrontare temi etici e sociali. C’e’ solo da stupirsi che la 194 non torni sotto attacco anche formale in modo da completare il lavoro fatto attraverso l’obiezione.
Buffo paese, buffo governo. Nessuno (che io abbia visto) si e’ pero’ chiesto perche’ il nome in inglese. Io li trovo sempre scivoloni non trascurabili. Ma il commento migliore e’ un commento a sostegno, cortesia della Repubblica:
“Sono meravigliata, perché l’obiettivo del nostro lavoro di esperti a supporto del ministero e di questo ministro, che per primo si è interessato al tema della fertilità e a tutto questo universo poco noto, era quello di fare conoscere la struttura del corpo degli uomini e delle donne e il suo funzionamento dal punto di vista riproduttivo, dando strumenti semplici, accessibili, divulgativi a tutti per fare scelte consapevoli”, ribatte Eleonora Porcu, presidente del tavolo consultivo sulla fertilità del ministero della Salute e direttrice del centro di Infertilità del policlinico Sant’Orsola-Università di Bologna.
Quindi l’obbiettivo e’ spiegare agli Italiani la struttura del corpo umano e il suo funzionamento dal punto di vista riproduttivo. Bene, ci metteremo in fila.
Ma si rendono conto di quello che dicono? Comunque il Ministero stesso si e’ lamentato di noi che non abbiamo capito lo “spirito” dell’iniziativa. Autocritica, mai in questa terra.
Su Alley Oop (si, il nostro amico cavernicolo! ) c’è un post che si deve rileggere un paio di volte, perché a prima vista può sembrare un pesce d’aprile.
Io non voglio mancare di rispetto a nessuno, ma l’idea di rendere legge dello stato la possibilità che ogni donna abbia certificabili annualmente 3 giorni di congedo mensili per dismenorrea non fa che acuire la sensazione che non si capisca dove è il problema, quando si parla di gender gap.
La radice, o perlomeno una delle radici, del problema è nello stereotipo che assegna l’onere della cura familiare alla donna. Quindi da per scontata una minore presenza sul lavoro, assolve l’uomo dal doversi occupare in modo almeno paritetico della cura familiare, e insomma nega intrinsecamente il concetto di parità, in nome, spesso, della fisiologia. Come un mio collega mi ha rinfacciato una volta, parlando di un ragazzo che non era disponibile a lavorare su un progetto perchè avrebbe avuto un figlio tre giorni dopo, “…mi risulta che i figli li facciano le donne…” .
A me pare che l’idea del congedo per dismenorrea amplifichi questa visione. Se uno, o una, sta male, sta male, se non riesce a lavorare non viene a lavorare. Ma battezzare un congedo specifico per quello mi fa ritornare alle mente cose del passato.
Dalla Treccani: “L’idea, diffusa in quasi tutte le culture e in ogni tempo, di una ‘impurità contaminante’ del flusso mestruale si è tradotta in regole di comportamento restrittive per la donna, come manifestazione di un rapporto antagonistico tra i sessi. “
Sempre dalla Treccani: “Generalmente, le società sembrano essersi limitate a prescrizioni rivolte a tenere a distanza le donne mestruate; tuttavia, la volontà di evitare di contaminarsi anche solo toccando oggetti usati dalle donne mestruate ha dettato anche regole di segregazione, le quali impongono loro, per tutto il corso del ciclo mestruale, di appartarsi in un angolo separato della casa, in una capanna predisposta a tale scopo precipuo, in una tenda dietro l’abitazione, o addirittura di allontanarsi dal villaggio, rifugiandosi nella foresta”
Quindi, nulla di nuovo. Ma ha senso incentivarlo, ha senso generalizzare una protezione che già esiste (il congedo di malattia) ? Ha senso farlo a nome di 4 donne del PD? Ha senso farlo usando come referenze UNA azienda inglese e la Corea del Sud, Taiwan e il Giappone del 1947? Oltretutto, riconoscendo che questa predisposizione orientale è connessa alla (sic) “credenza che se le donne non si riposano nei giorni del ciclo avranno poi numerose difficoltà durante il parto”
Io sono confuso, forse qualcuno mi spiegherà. Per adesso, preparo l’azienda a lustrazioni periodiche. E ascolto Capossela e Giovanna Marini.
è dovuto al fatto fatto che negli ultimi 10 anni solo il 2% delle famiglie è diventato più povero, rispetto alla nostro inattaccabile 100%.
O forse è dovuto al loro naturale sense of humour, che si esplica nei nomi che danno ai negozi di parrucchiere: Cut the Crap, My Sister’s Hair, Rufs och Kalufs, Fair with Hair, Clipp-er, …
Noi, invece, impoveriti, siamo rimasti all’ “Outlet del Funerale”….
Io vado già da qualche anno dicendo a figli ed amici che le cose non vanno bene e che il periodo di pace più lungo della storia sta per finire. Troppi devono troppo a troppo pochi, troppi hanno pochissimo e pochissimi hanno quasi tutto.
Noi, nel senso di noi che andiamo al ristorante, abbiamo uno stipendio e una assicurazione e un ombrellone al mare possiamo tranquillamente non accorgercene. Siamo ancora in abbastanza per poterci illudere di essere quasi tutti. Ma siamo sempre più in un Truman show, e la campana di vetro si sta stringendo. Ce ne possiamo accorgere solo se ci concentriamo, ci pensiamo e magari leggiamo i libri di storia. Ma il coro della politica fa di tutto per non farcelo vedere. O va tutto bene e “stiamo per” diventare ricchi e famosi, o, per quelli per cui va tutto male, la colpa è degli “altri”, che sono quelli che hanno ancora meno dei moltissimi che non hanno quasi più nulla. Una gara al ribasso, la negazione di ragione, etica e solidarietà. Solo ambizione e bramosia di potere o, per quelli in buona fede, squilibrio mentale.
Nell’ultimo anno mi sento molto meno solo; molti che ne sanno molto più di me e che questa cosa l’avevano vista arrivare da tempo hanno cominciato a parlarne. Anche gente autorevole, tipo il Papa o il fondatore del PD. Non mi fa tanto più contento, mi preoccupa ancora di più. Anche perché le soluzioni proposte non ci sono, sono invocazioni o slogan residuali tipo “acceleriamo l’integrazione europea”. Ha.
E poi, anche se avessero un programma, nessuno li vota, questi pessimisti. E così io continuo a preparare i ragazzi perché se ne possano andare e a pensare a come forse una piccola rivoluzione potrebbe fermare gli ingranaggi. Siamo disposti ad avere un poco meno?
(updated due giorni dopo)
A cena con amici c’era una figlia diciottenne che è entrata nella conversazione su quanto sopra e ha categoricamente smentito la possibilita’ di una Guerra. Perché’, la sua logica, oggi al contrario di 70 e 100 anni fa tutti i ragazzi (che sono quelli che poi in guerra ci devono andare) sono molto più istruiti e hanno studiato cosa succede, con le guerre. E’ un ottimo argomento, ed è un fatto vero. Spero che basti. Qualche dubbio ce l’ho, perché’ basta il 20 per cento di estremisti, populisti, fanatici, anche tra i ragazzi, per diventare velocemente maggioranza. E se l’istruzione da sola bastasse a farci essere più logici e migliori ed etici, quante altre cose “di massa” non dovrebbero succedere, ora che tutti studiano fino ai sedici anni?
Ma è stato bello sentire l’ottimismo, e non tutto si può spiegare con la logica e con la storia.. Quindi…
Sempre parlando di diversita’, ci si accorge di quanto il tema sia complicato sfogliando Project Include http://projectinclude.org, il sito del club di Ellen Pao e altre che si propongono di consigliare le startup (e i VC) su come non cadere nelle trappole della discriminazione.
Il sito non e’ male, fa un poco cadere le cose dall’alto ed e’ verboso ma e’ sicuramente completo e didattico. A un certo punto comincia a spiegare come dovrebbe essere fatto il codice di condotta di un’azienda ed arriva a descrivere un mondo che io non credo esista davvero, non qui, non in occidente.
Virgolette (parla di cene aziendali):
In requiring employees to explicitly decline to drink alcohol, you may also unwittingly be violating their privacy, of forcing them to disclose medical conditions, a history of addiction, pregnancy, or their religion.
Chiuse le virgolette. E chiuso il sito, per ora. Chissa’ perche’ mi ha fatto venire in mente il professor Cono.
Ero in una riunione con tutti i vice presidenti della azienda in cui lavoro, da tutto il mondo. La classe dirigente del mio mondo aziendale.
Un quarto di noi, una ventina, sono stati scelti per parlare di diversita’ di genere. Parlare del Che fare, come diceva Lenin. Piu’ o meno meta’ maschi, meta’ femmine.
L’esordio e’ stato buffo. Per eliminare le discriminazioni inconscie, d’ora in poi i curriculum non lasceranno intendere se un candidato a essere assunto e’ uomo o donna. Che poi tanto i candidati li si deve vedere in faccia a un certo punto, e poi fa molto strano a pensarci bene, questa anonimizzazione. Secondo me aprira’ un mercato di scommesse aziendali. Curriculum che girano e i reclutatori che scommettono sul sesso.
Comunque proviamoci pure, non e’ la fine del mondo.
Dopo avere risolto cosi’ brillantemente il problema delle ragazze che entrano in azienda si passa al problema di come farcele rimanere. E qui i pregiudizi inconsci lasciano il campo a quelli consci, conscissimi. “Dobbiamo trovare dei ruoli per loro per quando non potranno piu’ viaggiare”, dice il manager maschio americano. Io mi aspetto che la manager australiana lo sbrani. Invece no. Nemmeno un plisse’. E io non mi creo molti amici intervenendo, ma sfumiamo qui.
Io credo che se non salta questo default per cui nella famiglia con figli la donna non viaggia (sottinteso, perche’ lo deve fare l’uomo) non risolveremo mai nulla. Ho due idee per farlo saltare, due linee di attacco.
Uno, la cultura sociale. Parita’ di cura parentale per legge, post nascita. Un mese per uno , due mesi per uno, 5 mesi per uno, ogni economia faccia quanto puo’ permettersi di pagare. I colleghi scandinavi lo fanno gia’.
Due, i soldi. Parita’ di paga a parita’ di lavoro, imposta per legge (chi non la rispetta paga piu’ tasse) cosi’ che quando ci si pone il problema di chi si occupa della cura (dei figli, della famiglia….), la decisione, che gia’ grida “donna” per cultura millenaria, non sia piu’ autoassolta dalla logica economica della sussistenza.
Semplice, davvero. Poi si possono e si devono fare corsi agli uomini, corsi alle donne, imporre quote e lavorare sull’autostima fin dalle scuole medie. E mille altre cose. Ma se non cambiano le politiche sociali, il progresso continuera’ ad essere lentissimo come e’ stato negli ultimi trenta anni, da quando ci si e’ cominciati a porre il problema.
ps
La azienda per cui lavoro fa un sacco di cose giuste nella direzione giusta (e paga uomini e donne esattamente lo stesso). Ma non basta, e non puo’ bastare