Cosi’ non cambia

Cominciamo dalla musica questa volta.

Al contrario, temo non stia succedendo nulla.

Scena uno. Aula della Bocconi. 50 studenti che stanno cominciando un corso post-laurea sponsorizzato da sei aziende. 30 ragazzi, 20 ragazze (non male per la nostra industria). 6 amministratori delegati delle aziende, 5 uomini e una donna; lei e’ una persona incommensurabilmente in gamba e per bene. E’ il suo turno di parlare agli studenti.

“…e a tutti voi, che iniziate ora una carriera da consulenti, voglio dire una cosa: il mestiere del consulente e’ un mestiere duro: fate in modo di avere delle mogli che lo capiscano e vi supportino”.

Ora, per carita’, parlando a braccio puo’ scappare, ma tu sei l’unico modello di donna che ce l’ha fatta a fare carriera li’, e devi fare non solo un commento sessista ma anche ignorare che quasi la meta’ dei ragazzi davanti a te sono femmine?

Scena due. Sede di azienda privata. Micro-convegno su come funziona la carriera per le donne. Panel.
Donna1: mi hanno licenziato in tronco senza motivo. A me, la piu’ brava. Ma il giorno dopo avevo gia’ una offerta migliore, piu’ potere e piu’ soldi. E dopo un mese ne avevo altre quattro, una migliore dell’altra. ma io no. Ora ho capito cosa voglio davvero e faccio il coach; anzi una startup di coach.
Donna2: mi hanno licenziata, ma in effetti avevo deciso io che lo decidessero loro. Ero la piu’ brava. E ora ho mille opzioni ed offerte, ma aspetto.

Ecco, forse qui il senso del role model viene snaturato. Sembra volere offire un modello “forte” ma e’ ego che scoppia, mascherato in un caso da una certa commozione nell’altro dall’ironia. Ma si vede, in trasparenza, sottopelle.

Se ci rilassassimo tutti un poco di piu’? Meno convegni, piu’ concerti…

Curriculum asessuati

Ero in una riunione  con tutti i vice presidenti della azienda in cui lavoro, da tutto il mondo. La classe dirigente del mio mondo aziendale.

Un quarto di noi, una ventina, sono stati scelti per parlare di diversita’ di genere. Parlare del Che fare, come diceva Lenin. Piu’ o meno meta’ maschi, meta’ femmine.

L’esordio e’ stato buffo. Per eliminare le discriminazioni inconscie, d’ora in poi i curriculum non lasceranno intendere se un candidato a essere assunto e’ uomo o donna. Che poi tanto i candidati  li si deve vedere in faccia a un certo punto, e poi fa molto strano a pensarci bene, questa anonimizzazione. Secondo me aprira’ un mercato di scommesse aziendali. Curriculum che girano e i reclutatori che scommettono sul sesso.

Comunque proviamoci pure, non e’ la fine del mondo.

Dopo avere risolto cosi’ brillantemente il problema delle ragazze che entrano in azienda  si passa al problema di come farcele rimanere. E qui i pregiudizi inconsci lasciano il campo a quelli consci, conscissimi. “Dobbiamo trovare dei ruoli per loro per quando non potranno piu’ viaggiare”, dice il manager maschio americano. Io mi aspetto che la manager australiana lo sbrani. Invece no. Nemmeno un plisse’.  E io non mi creo molti amici intervenendo, ma sfumiamo qui.

Io credo che se non salta questo default per cui nella famiglia con figli la donna non viaggia (sottinteso, perche’ lo deve fare l’uomo) non risolveremo mai nulla. Ho due idee per farlo saltare, due linee di attacco.

Uno, la cultura sociale. Parita’ di cura parentale per legge, post nascita. Un mese per uno , due mesi per uno, 5 mesi per uno, ogni economia faccia quanto puo’ permettersi di pagare. I colleghi scandinavi lo fanno gia’.

Due, i soldi. Parita’ di paga a parita’ di lavoro, imposta per legge (chi non la rispetta paga piu’ tasse)  cosi’ che quando ci si pone il problema di chi si occupa della  cura (dei figli, della famiglia….), la decisione, che gia’ grida “donna” per cultura millenaria, non sia piu’ autoassolta dalla logica economica della sussistenza.

Semplice, davvero. Poi si possono e si devono fare corsi agli uomini, corsi alle donne, imporre quote e lavorare sull’autostima fin dalle scuole medie. E mille altre cose. Ma se non cambiano le politiche sociali, il progresso continuera’ ad essere lentissimo come e’ stato negli ultimi trenta anni, da quando ci si e’ cominciati a porre il problema.

 

ps

La azienda per cui lavoro fa un sacco di cose giuste nella direzione giusta (e paga uomini e donne esattamente lo stesso). Ma non basta, e non puo’ bastare