Ero in una riunione con tutti i vice presidenti della azienda in cui lavoro, da tutto il mondo. La classe dirigente del mio mondo aziendale.
Un quarto di noi, una ventina, sono stati scelti per parlare di diversita’ di genere. Parlare del Che fare, come diceva Lenin. Piu’ o meno meta’ maschi, meta’ femmine.
L’esordio e’ stato buffo. Per eliminare le discriminazioni inconscie, d’ora in poi i curriculum non lasceranno intendere se un candidato a essere assunto e’ uomo o donna. Che poi tanto i candidati li si deve vedere in faccia a un certo punto, e poi fa molto strano a pensarci bene, questa anonimizzazione. Secondo me aprira’ un mercato di scommesse aziendali. Curriculum che girano e i reclutatori che scommettono sul sesso.
Comunque proviamoci pure, non e’ la fine del mondo.
Dopo avere risolto cosi’ brillantemente il problema delle ragazze che entrano in azienda si passa al problema di come farcele rimanere. E qui i pregiudizi inconsci lasciano il campo a quelli consci, conscissimi. “Dobbiamo trovare dei ruoli per loro per quando non potranno piu’ viaggiare”, dice il manager maschio americano. Io mi aspetto che la manager australiana lo sbrani. Invece no. Nemmeno un plisse’. E io non mi creo molti amici intervenendo, ma sfumiamo qui.
Io credo che se non salta questo default per cui nella famiglia con figli la donna non viaggia (sottinteso, perche’ lo deve fare l’uomo) non risolveremo mai nulla. Ho due idee per farlo saltare, due linee di attacco.
Uno, la cultura sociale. Parita’ di cura parentale per legge, post nascita. Un mese per uno , due mesi per uno, 5 mesi per uno, ogni economia faccia quanto puo’ permettersi di pagare. I colleghi scandinavi lo fanno gia’.
Due, i soldi. Parita’ di paga a parita’ di lavoro, imposta per legge (chi non la rispetta paga piu’ tasse) cosi’ che quando ci si pone il problema di chi si occupa della cura (dei figli, della famiglia….), la decisione, che gia’ grida “donna” per cultura millenaria, non sia piu’ autoassolta dalla logica economica della sussistenza.
Semplice, davvero. Poi si possono e si devono fare corsi agli uomini, corsi alle donne, imporre quote e lavorare sull’autostima fin dalle scuole medie. E mille altre cose. Ma se non cambiano le politiche sociali, il progresso continuera’ ad essere lentissimo come e’ stato negli ultimi trenta anni, da quando ci si e’ cominciati a porre il problema.
ps
La azienda per cui lavoro fa un sacco di cose giuste nella direzione giusta (e paga uomini e donne esattamente lo stesso). Ma non basta, e non puo’ bastare