Alison 14

Questo è uno degli snodi della mia vita e per  il diorama che mi sono costruito in testa anche di quella di Alison. Era estate, forse luglio. Siamo usciti la sera e  siamo andati da U Fleku, chi lo può ricordare, la tentata  ricostruzione in viale Umbria di una birreria di Praga.

Ricordo che eravamo in tanti, e ricordo che c’era un mio amico sempre così critico su di lei. Ci siamo  tenuti la mano in segreto per tutta la sera. E poi, tornando a San Donato, io l’ho lasciata a casa e ho accompagnato questo mio amico, perché sembrava giusto così a non so quale logica virile, perché temevo il suo giudizio.

E sono subito tornato sui miei passi, ma per qualche motivo non ho avuto il coraggio di suonare a quel campanello, e ho girato attorno a casa sua per ore come un lupo sperando chissà come in un segnale, in un fuoco acceso  che mi dicesse “vieni, ti aspetta”.

Non ho visto il segnale, non c’è stato  il segnale, ero troppo provato da anni di delusioni per sapere rischiare  ed ero uno stupido, e non ho suonato. Ma chissà come nel mio cuore so che se avessi suonato e fossi salito, non sarei mai più uscito.

Edith Piaf per ricordarmi di non farle più, certe idiozie

ora basta, basta ora

Ieri  volevo scrivere di cose leggere, di come per distrazione mi avesse chiamato amore tre o quattro volte (si ovviamente le conto…), metterci su magari “Bene” che è pura poesia.

Però non mi confondere con niente e con nessuno, e vedrai…
niente e nessuno ti confonderà
soltanto l’innocenza nei miei occhi, c’è nè già meno di ieri, ma che male c’è
le navi di Pierino erano carta di giornale, eppure vedi, sono andate via
magari dove tu volevi andare ed io non ti ho portato mai
e puoi chiamarmi ancora amore mio

Ma ho già troppo De Gregori qui dentro e soprattutto ho capito che non mi stavo proprio muovendo. Che contestare il suo revisionismo storico non serve a nulla. Che non ha pietà, non ha occhi, non ha cuore. Non per me.

Nemmeno un filo sottile, il filo che ho invocato gridando e piangendo e che non c’era prima, non c’è nemmeno adesso; l’istanza non è stata nemmeno considerata, credo nemmeno ascoltata. La mia negazione non l’ha srotolato.

Insomma la negazione deve finire, deve subentrare la rabbia, secondo Kubler-Ross. Non la paura (quella c’è dal primo momento insieme al panico e alla disperazione). E nemmeno la depressione, che per K-R viene dopo ma con me non si è fatta aspettare.  Proprio la rabbia.  Quella che ti fa chiudere e rispondere male e non pensare alle sue reazioni.

“Je m’en fous” potrebbe essere il motto della rabbia. E con lui lo scricciolo rabbioso della Piaf.

Poi ho pensato che alla fine della negazione ci dovesse essere un inno, una celebrazione di quello che ho perso e della sua immensità. Ma non ce l’ho fatta, troppo intimo, troppo personale. E allora Nick Drake, che dice tutto quello che c’è da dire, e lo fa con 10 parole o poco più.