Mio figlio maggiore si chiama G.
Ha 22 anni ed e’ diventato autonomo. Ieri mi chiama dalla citta’ dove vive e studia, e mi dice che siccome gli hanno dato una borsa di studio non c’e’ piu’ bisogno che gli mandi la somma che gli passavo ogni mese, decisa da un giudice. La borsa e’ meno di quello che gli davo, ma a lui basta, dice lui. Io gli dico che non so, magari continuo, magari la integro, va bene, poi ne parliamo. Riattacco.
Ero in taxi e il tassista ha sentito. E mi ha riportato con i piedi per terra. “Dotto’, momenti cosi’ la devono lasciare con il sorriso sulle labbra per una settimana. Mi creda, non succede spesso”. E via un pippone, ma un pippone buono, un pippone dove lui era piu’ commosso di me.
E mi fa riflettere sulle fortune che ho, e su quanto poco ringrazio per loro.
La felicita’ l’ho trovata nelle persone semplici, nelle situazioni semplici. Nelle persone umili spesso ho trovato affetto, ascolto, esperienza di vita, grande intuito, emotivo e pratico. La semplicita’ di vita lascia piu’ spazio all’incontro, al colloquio. Il bene inaspettato non e’ scontato. Quello che di buono arriva e’ subito percepito, e’ una grande fortuna, se ne riesce ad apprezzare il valore. Riempie. A volte, in questa vita, mi sembra di vivere sotto anestetico. Ricordo uno dei pomeriggi piu’ belli trascorsi a parlare con L., una donna ottantenne e sua nipote. La bambina pettinava una bambola, lei mi raccontava di suo marito R., del loro amore, della vita a coltivare fiori nelle serre, dei sacrifici fatti e della loro complicita’. Ci siamo prese un caffe’ e intanto impastava ciambelline al vino mischiate al ricordo del suo amore. L. non sa leggere e scrive solo il suo nome. L. ogni volta che mi vede mi abbraccia e mi trasmette un calore meraviglioso. A volte sogno di voler vivere come lei. Semplicemente. Con poco. Emozionandomi di tanto.