Dicevamo, l’abbandono. E l’alternanza di sensazioni, l’odio la rabbia e l’amore. La disperata ricerca di appigli, lo scivolare lungo la china di qualcosa che non conosci ancora per quello che sarà. Forse è solo una suggestione da inibitore dei distruttori della serotonina, ma è come se al tuo interno, nelle viscere, si crei una bolla di gas che spinge fuori tutto, che ti crea il vuoto dentro. Un piccolo ronzio nella testa è tutto quello che ti resta.
E allora, per reazione, i recettori cominciano a lavorare – ma disordinatamente. Cercano di coordinare un numero infinito di scenari , e ogni scenario presenta un problema e ogni problema è una piccola goccia di angoscia che ti consuma.
Insomma, la situazione non migliora. Il ronzio aumenta.
Gli amici (se ne hai e io, modestamente, ne ho) pochi ma veri loro ti ascoltano e cominciano a semplificare per te, magari facendoti un poco di male, ricordandoti la tua cecità. Loro sono con te.
E così inizi a capire che forse c’è un domani. E riprendi a funzionare – male. Sembri un poco una falena che sbatte contro ogni luce accesa. E’ il momento peggiore, ti puoi fare molto male, e in genere te lo fai. O, ma non è il mio caso, lo fai a qualcun altro o a qualcosa d’altro.
Il ronzio è fortissimo, devi farti aiutare. De Gregori per 3 minuti e 56 secondi ti convince che dal fatto che le sue labbra siano andate a un indirizzo nuovo possa uscire qualcosa di buono.
Ma dopo?